sabato 30 marzo 2019

Locke: la concezione dello Stato e l'affermazione della tolleranza

Locke, oltre che fondatore dell'empirismo, è considerato anche il principale teorico del pensiero liberale e democratico moderno. Le sue idee sulla politica, esposte soprattutto nei Due trattati sul governo civile, ebbero vasta eco in tutta Europa (in particolare presso gli illuministi francesi) e influenzarono i padri della Dichiarazione d'indipendenza (1776)e della Costituzione degli Stati Uniti d'America (1787).

Stato di natura e contratto sociale

Ma qual'è la natura dello Stato? La risposta del filosofo è contenuta nel Secondo trattato, dove si trova l'esposizione completa del pensiero politico dell'autore.
Locke inizia le sue riflessioni partendo dalla definizione dello stato di natura, quella ipotetica condizione originaria in cui si trovano gli uomini quando non sono ancora associati tra loro e disciplinati da una serie di norme positive. 

Locke ha una visione positiva della natura umana e pertanto crede che i soggetti dello stato di natura non siano esseri asociali e amorali, ma individui illuminati dalla ragione. Essi infatti possiedono una legge morale di carattere razionale, che deriva direttamente da Dio e prescrive il rispetto di tre diritti specifici, naturali e inalienabili: 

alla vita, alla libertà, alla proprietà 

Locke ammette tuttavia che in tale stato originario manca la garanzia del diritto: chiunque potrebbe prevaricare sugli altri mosso da egoismi personali. E' a questo scopo che gli individui devono stipulare tra loro un contratto di natura sociale, concezione definita appunto contrattualismo. Esso comporta due accordi: un patto (pactum unionis) con cui le persone si riuniscono in una società civile; un altro patto (pactum subiectionis) con cui decidono di sottomettersi a un'autorità, che ha il compito di perseguire nel modo migliore gli obiettivi collettivi.

La proprietà privata

Tra i diritti naturali dell'uomo Locke pone la proprietà privata. L'uomo ha il diritto inalienabile di godere e disporre dei suoi beni. Locke asserisce che Dio ha dato la terra come risorsa comune a tutti gli uomini. Per la prima volta nella storia del pensiero politico si afferma che la legittimazione della proprietà privata sta nel lavoro: la proprietà non è un privilegio acquisito, ma il frutto dell'azione umana.

Locke riconosce però anche dei limiti alla proprietà privata. Seguendo l'ispirazione cristiana, sostiene infatti che, essendo gli uomini solidali in quanto figli di Dio, non devono appropriarsi delle cose smodatamente, perché così priverebbero gli altri di ciò che è necessario per la sopravvivenza.

Per Locke la proprietà privata non è costituita soltanto dai possedimenti materiali, ma in termini più generali dalla vita, dalla libertà e dagli averi, e che la società politica nasce proprio per tutelare tale diritto, il più minacciato dallo stato di natura.

I principi fondamentali del liberalismo

Vediamo nel dettaglio i principi che ispirano la concezione del filosofo inglese e che, ancora oggi, si ritrovano alla base delle Costituzioni dei paesi democratici.
  1. Innanzitutto, il potere politico si fonda sul consenso dei cittadini, espresso attraverso le decisioni della maggioranza dei loro rappresentanti; è da tale consenso, ad esempio, che deriva il contratto sociale.
  2. Lo Stato non può governare in modo arbitrario, cioè secondo la propria volontà, ma deve attenersi alle norme promulgate, dichiarate e riconosciute da tutti. Tra i diritti fondamentali che lo Stato deve garantire vi sono quello della proprietà privata, il diritto alla libertà di pensiero e di espressione, e il diritto alla vita che non deve essere compromessa, ostacolata o umiliata.
  3. Il potere legislativo, cui compete l'emanazione delle leggi, deve essere separato da quello esecutivo, a cui spetta il compito di farle eseguire anche con l'uso della forza.
Il principio della separazione dei poteri riveste un'importanza storica particolare e costituisce una tesi classica del pensiero liberale

Esso nasce dalla considerazione che occorre prevedere una serie di limiti al potere politico, che servano a moderarlo e a circoscriverlo; se non esistesse tale controllo esso tenderebbe a divenire assoluto e, quindi, a prevaricare i legittimi diritti dei cittadini.
Nella riflessione lockaniana il potere legislativo ha una superiorità rispetto a quello esecutivo.
Locke e l'indagine critica delle facoltà conoscitive

John Locke (1632-1704) è il padre dell'empirismo moderno. La sua opera più impegnativa, il Saggio sull'intelletto umano, segna un'inversione di rotta rispetto alla filosofia razionalistica, perché si propone un'indagine critica delle facoltà conoscitive con l'obiettivo di stabilirne possibilità e soprattutto limiti. 

Nell'ottica di questo progetto, la ragione non viene più ritenuta assoluta e infallibile, come in Cartesio, ma viene ricondotta entro i confini dell'esperienza.

La critica dell'innatismo

Il Saggio sull'intelletto umano, che si compone di quattro parti, dedica significativamente la prima alla critica delle idee innate, che consisteva nel ripulire il terreno dai detriti che si incontravano sul cammino della conoscenza. Ora, tra questi detriti il filosofo annovera la teoria secondo cui vi sono alcuni principi o idee impressi nella nostra mente, che l'anima riceve fin dal primo istante della sua esistenza. Tale dottrina, antichissima, risale a Platone, ma era stata riproposta da Cartesio in età moderna. 
Essa veniva dimostrata dai suoi fautori in base alla constatazione della presenza di un certo numero di verità fondamentali in ogni uomo, indipendenti dalle condizioni esterne, ad esempio il principio di non contraddizione che così si definisce:

"è impossibile che una cosa sia e non sia allo stesso tempo"

Locke critica questa tesi sostenendo che è falsa: i bambini e gli idioti (cioè coloro che sono affetti da un deficit mentale) non hanno la minima nozione di simili principi, pertanto non sussiste un consenso universale.

Tra gli uomini non vi è consenso neppure sulle norme morali, ad esempio sull'idea di male e bene. Questa disparità di vedute confuta l'innatismo, mostrando la falsità delle argomentazioni che lo sostengono e che ostacolano, secondo Locke, il progredire della conoscenza.

L'origine della conoscenza

Se non possiamo affidarci a nozioni possedute fin dalla nascita, da dove deriva la nostra conoscenza? La risposta di Locke è che essa dipende interamente dall'esperienza. La mente di un neonato, infatti, è come un foglio bianco, ossia è una facoltà priva di contenuti. Tutte le idee provengono dall'esperienza.
Locke sostiene che dall'esperienza derivano due tipologie differenti di idee:
  • le idee di sensazione
  • le idee di riflessione
Le idee di sensazione provengono dagli oggetti esterni tramite i cinque sensi: vista, udito, olfatto, tatto, gusto.
Le idee di riflessione, invece, sono quelle che derivano dall'esperienza umana, la quale, oltre alle operazioni proprie della mente, comprende gli stati d'animo e le passioni.

Sensazione e riflessione sono le uniche fonti della nostra conoscenza. Si capisce perché i bambini acquisiscano in modo graduale le loro cognizioni, le quali sono tanto più strutturate quando vive e varie sono le esperienze che essi fanno
Di qui il ruolo centrale che ha in Locke il tema dell'educazione, a cui egli dedicò uno scritto di grande interesse pedagogico (Pensieri sull'educazione). 

La classificazione delle idee

Locke dopo aver spiegato l'origine delle idee, procede a distinguerle in due grandi classi: le idee semplici e le idee complesse.
Le idee semplici derivano dalle esperienze elementari della sensazione o della riflessione.

Una volta che la mente ha ricevuto passivamente le idee semplici, può immagazzinarle, riprodurle e combinarle, formando così quelle che Locke definisce idee complesse.
Ne consegue che l'intelletto non può creare nuove idee semplici, indipendenti dall'esperienza, né distruggere quelle che provengono da essa.

venerdì 29 marzo 2019

Leibniz e l'universo come organismo vivente


"Anche nella più piccola parte di materia c'è un mondo di creature, di viventi, di animali, di anime."
(Leibniz, Monadologia)

Leibniz afferma che il nostro è il migliore dei mondi possibili, infatti Dio ha scelto il meglio secondo ragione tra infinite possibilità la libertà divina coincide con la razionalità.

Sostiene una concezione dinamica della realtà in cui a fondamento della realtà meccanicistica vi è una dimensione sostanziale metafisica, cioè la forza viva che è l'essenza delle sostanze individuali.

Leibniz afferma che nel mondo vi sono infinite sostanze individuali: le monadi
  • centri di forza semplici, immateriali e privi di estensione
  • entità complete e autosufficienti, dotate di capacità rappresentativa

La percezione 
→ l'attività mediante la quale le monadi percepiscono in modo oscuro e confuso le cose esterne. L'appercezione → la conoscenza chiara e distinta dell'attività percettiva

Vi sono tre tipologie di monadi:
  1. quelle del tutto prive di coscienza
  2. gli animali
  3. gli spiriti superiori
sono create da Dio, la monade suprema, il quale pone tra le monadi un'armonia prestabilita grazie a cui vi è accordo perfetto tra gli eventi che accadono in ciascuna di esse e quelli che accadono nelle altre.

La logica e il progetto di matematizzazione del pensiero

Leibniz elabora un metodo logico per matematizzare il pensiero cioè per ridurre le operazioni mentali a un calcolo


Elabora poi una distinzione tra:


  • verità di ragione → verità necessarie in cui il predicato è implicito nel soggetto da cui può essere dedotto con necessità. Riguardano il mondo della logica e si fondano sui principi di identità e non contraddizione.
  • verità di fatto → verità contingenti i cui predicati non possono essere dedotti dal soggetto e il cui contrario è sempre possibile. Riguardano il mondo reale e si fondano sul principio di ragion sufficiente.