lunedì 15 aprile 2019

Hume e gli esiti scettici dell'empirismo


Nato a Edimburgo da una famiglia della piccola nobiltà terriera, Hume compie i propri studi al college e poi all'università della medesima città. Il suo scritto filosofico più impegnativo, il Trattato sulla natura umana, pubblicato a ventotto anni, rappresenta un insuccesso editoriale. Scopo principale del Trattato è quello di disegnare una "nuova scena del pensiero", tesa a cambiare radicalmente l'approccio tradizionale ai problemi filosofici.

L'esigenza di sottoporre il pensiero a un esame critico nasce dalla consapevolezza della fragilità e incoerenza dei sistemi filosofici più accreditati. Si tratta di un compito che Hume giudica più importante e urgente della stessa rifondazione della scienza della natura operata da Newton, in quanto tutte le altre conoscenze dipendono, in un la o modo o nell'altro, dalla natura umana.


Le impressioni e le idee

Nel Trattato Hume analizza la conoscenza umana, individuando nella "percezione" la sua unica fonte. Egli, quindi, distingue le percezioni in due tipologie, le impressioni e le idee,

  • le "impressioni" sono le percezioni nel momento in cui sono attuali, ossia quando colpiscono con maggior forza ed evidenza la coscienza;
  • le "idee", invece, sono le immagini indebolite delle impressioni
Se, ad esempio, tocco un ferro rovente ho subito l'impressione del dolore; successivamente, avrò l'immagine di tale dolore nella mente. Le impressioni e le idee, dunque, sono frutto delle medesime percezioni, considerate però in tempi diversi. 
Ne deriva che tutte le idee devono essere ricondotte alle loro impressioni originarie, cioè alla percezione nella sua attualità.

Il principio di associazione tra le idee

Hume individua due facoltà, la memoria e l'immaginazione, in virtù delle quali possiamo conservare nella mente le impressioni e collegare tra loro le idee che ne derivano. La funzione principale della memoria consiste nel conservare l'ordine e la posizione delle idee semplici, ad esempio facendoci ricordare le persone nei luoghi in cui le abbiamo conosciute; quella dell'immaginazione, invece, è di stabilire delle relazioni tra le idee, operando con una certa libertà.

Nonostante l'autonomia di cui gode la mente, ci rendiamo conto che le nostre idee si presentano perlopiù organizzate secondo schemi fissi: l'immaginazione non è totalmente libera, perché anche nei "sogni" essa procede seguendo il principio di associazione

Il principio di associazione opera secondo tre criteri fondamentali: la somiglianza, la contiguità, la relazione di causa ed effetto.

Le due tipologie di conoscenza

Secondo Hume, i criteri associativi determinano quelle che Locke definiva "idee complesse", derivate dall'unione di due o più idee semplici. Sono complesse, ad esempio, le idee di spazio e tempo, di causa ed effetto.
Tuttavia si domanda l'autore, possiamo essere sicuri delle conoscenza che derivano dall'associazione delle idee? La sua risposta è che possiamo essere assolutamente certi solo di quelle che implicano una pura relazione tra idee, cioè che si ottengono derivando un'idea dall'altra senza bisogno di ricorrere all'esperienza, e che sono dotate di necessità logica.

Ad esempio, che 2+2 sia uguale a 4 lo sappiamo senza bisogno di riferirci all'esperienza: nel 4 è già contenuta l'idea della somma 2+2. 

Tutte le verità matematiche sono di questo tipo e sono certe. Quando però ci imbattiamo in conoscenza che derivano dalla relazione tra dati di fatto (come la convinzione che domani il sole sorgerà), allora possiamo aspirare solo a un maggiore o minore grado di probabilità. Rispetto a questo tipo di relazione non possediamo la certezza matematica, ma dobbiamo ricorrere alla verifica empirica.

L'analisi dell'idea di causa

Tutte le conoscenza relative a dati di fatto sono caratterizzate dal principio di causalità, che pertanto diventa un nodo cruciale dell'indagine filosofica humiana. L'idea di causa è secondo Hume del tutto particolare: essa non si configura come una pura relazione tra idee, ma rimanda all'esperienza

Se, ad esempio, metto un dito a contatto con il fuoco, affermo che il fuoco è stato la causa della scottatura. Ma che cosa avviene realmente nella nostra mente quando riconosciamo una relazione causale? Constatiamo che l'impressione "B" è contigua o successiva all'impressione "A":


"B" si presenta sempre dopo "A"

Che cos'è, dunque, la relazione di causa ed effetto? Nient'altro che la tendenza della nostra immaginazione, a proiettare nel futuro ciò che si è presentato con regolarità nel passato. E' dunque in virtù di un arbitrario salto logico che siamo portati ad attribuire la nozione di "causa" a un dato fenomeno: osserviamo che due eventi si verificano uno dopo l'altro con regolarità e, operando un'indebita inferenza, generalizziamo dicendo che A è causa di B, come se in A ci fosse una proprietà capace di riprodurre sempre e necessariamente l'effetto B. In altre parole, e con formula latina, noi commentiamo l'errore di trasformare il post hoc (dopo questo) in propter hoc (a causa di questo).

Proviamo a schematizzare i punti fondamentali dell'argomentazione humiana:
  1. l'esperienza attesta la regolare contiguità e successione di due eventi;
  2. l'immaginazione, sorretta dall'abitudine, porta a credere che il rapporto sia necessario e che, nel futuro, i due eventi saranno ugualmente collegati;
  3. tale legame, tuttavia, esiste solo nella nostra mente, come abitudine soggettiva a collegare un fenomeno A (ad esempio il fuoco) a un altro fenomeno B (la combustione);
  4. la relazione causa-effetto non è necessaria né oggettiva, ma risiede in un'attitudine soggettiva.

L'abitudine come fonte di credenza



Con l'indagine sulla causalità Hume arriva a stabilire il seguente principio: l'esperienza non può garantire che due fenomeni che si presentano oggi connessi tra loro lo saranno anche in futuro; allo stesso modo, essa non può offrire garanzie sull'uniformità del corso della natura. E' infatti solo la forza dell'abitudine che ci porta a ritenere che il mondo fisico sia retto da principi universali e che il suo comportamento generale sia regolare e costante.

Il sapere scientifico non ci può dire nulla sulle leggi fondamentali e immutabili dell'universo: può soltanto classificare la regolarità già osservate e fare previsioni probabili. Dall'abitudine nasce la credenza: essa non è un atto dell'intelletto, ma un sentimento naturale, un istinto che ci spinge a dare il nostro assenso alle impressioni, dotate di maggiore forza e vivacità rispetto alle idee. 

In conclusione possiamo affermare che agiamo sulla base di credenze, ma non possediamo certezze; anche la causalità, intesa come rapporto necessario tra due fatti, è qualcosa che in realtà deriva dalla nostra immaginazione e dal nostro istinto, un sentimento che ci permette di orientarci nella vita anche in assenza di conoscenza assolute. Tali considerazioni sono alla base della critica che Hume muove a un concetto fondamentale della metafisica del passato, quello di "sostanza".

La critica all'idea di sostanza

Riprendendo le argomentazioni di Locke, Hume distingue tra "sostanza materiale" e "sostanza spirituale". Per quanto riguarda le sostanze materiali, la nostra mente percepisce soltanto le impressioni di singole qualità delle cose: ad esempio, della mela che sto mangiando percepisco che è rotonda. Poiché l'esperienza ci presenta sempre in connessione tali qualità per abitudine, che esse appartengano a un'entità - nel nostro caso la mela - che identifichiamo come una "cosa". 

L'errore che commettiamo consiste nel ritenere esistente la mela come "sostanza", mentre non è che una semplice compresenza di singole proprietà

L'io non è altro che il frutto della nostra inclinazione a individuare un fondamento unitario delle percezioni contigue e ad attribuire a te presunta entità un'ininterrotta e immutevole esistenza lungo il corso della vita.

L'io è ciò che dà unità e ordine alle sensazioni



La prospettiva etica di Hume

L'approccio humiano alla conoscenza ha il merito di favorire lo sviluppo di una visione delle cose anti-dogmatica, flessibile e aperta alla conferma dei fatti. Quello che conta ai suoi occhi è l'utilità che la società ottiene da un determinato atteggiamento degli individui. Lo stesso vale per la "giustizia", che non si definisce in riferimento a principi assoluti e immutabili, ma alla necessità di assicurare un'ordinata convivenza civile.

A questo proposito, Hume opera un'importante distinzione tra la sfera dell' "essere" e quella del "dover essere". Egli afferma che occorre evitare di passare arbitrariamente dal piano dell'essere (furto, bugia ecc.) al piano del dover essere (non si deve rubare, dire bugie ecc.) 
In altri termini, secondo la raccomandazione di Hume è sbagliato pretendere di poter dedurre dal piano descrittivo (particolare) quello prescrittivo (universale). 

Azioni come l'ubriacarsi, ad esempio, vengono considerate ingiuste solo se commesse ai danni degli altri compromettendo il benessere sociale. 

Nel campo della morale è "normale" ciò che corrisponde alle consuetudini degli uomini, è "anormale" ciò che contrasta: il bene e il male non si possono stabilire con procedimenti razionali, ma si giudicano sulla base di principi empirici.