giovedì 27 dicembre 2018

2. Dio come garante dell' "evidenza"

La certezza del cogito appare a Cartesio come la verità più stabile e sicura, che non potrebbe vacillare neppure sotto colpi delle più stravaganti supposizioni degli scettici. Da dove deriva questa certezza? In altri termini, perché la proposizione "Io penso,dunque io sono" deve considerarsi assolutamente vera? La risposta di Cartesio è che la verità del cogito dipende dal fatto che io la intuisco come assolutamente chiara e distinta.


Il soggetto, è certo delle proprie idee, che sono l'oggetto immediato del pensiero stesso, vale a dire le rappresentazioni che il soggetto ha nell'atto del pensare. A differenza di quelle platoniche, che avevano una realtà autonoma e indipendente dal soggetto nell'iperuranio, le idee per Cartesio ineriscono alla mente.


Il filosofo distingue tre categorie:


  • le idee avventizie, che ci provengono dall'esterno
  • le idee fattizie, costruite da noi stessi 
  • le idee innate, che non possono derivare dall'esterno o da una mia creazione, ma che sembrano "nate con me"
Se il soggetto, come soggetto pensante, può essere sicuro dell'esistenza delle idee in quanto oggetti del pensiero, non può essere certo della realtà delle cose che in queste idee rappresentano, perché potrebbe essere ingannato dal genio maligno che gli fa credere  esistenti cose create dalla sua immaginazione.

L'unico modo per scoprire se alle idee che possediamo nella mente corrisponde effettivamente una realtà esterna è interrogarsi sulle loro cause. Il principio che guida il ragionamento del filosofo è che la causa di un'idea non può contenere minore perfezione e realtà dell'idea che produce; in altre parole, ogni idea deve necessariamente avere una causa che sia a essa proporzionata.
Il soggetto come essere pensante

Guadagnata la certezza della propria esistenza, Cartesio si volge a chiarire qual è la natura di tale esistenza; egli si chiede, cioè, se grazie al cogito sia possibile sostenere con sicurezza l'esistenza del corpo e del mondo al di fuori di sé. La risposta del filosofo è che la certezza che scaturisce dal cogito investe soltanto e unicamente il pensiero e le sue determinazioni essenziali: il dubitare, il negare, l'affermare, il concepire, l'immaginare, il sentire, il volere.

La conclusione cartesiana, per cui il cogito rappresenta la verità originaria che consente di sconfiggere il dubbio e di procedere alla riedificazione di tutte le altre verità, costituisce l'atto di nascita del "razionalismo" moderno, cioè la corrente filosofica basata sull'assunto che ogni conoscenza derivi dall'attività razionale del soggetto.


Le critiche al cogito

Vista l'importanza del cogito, gli studiosi si sono ripetutamente interrogati sulla struttura logica che esso presenta. 
La domanda che viene spontanea è: siamo davanti a un ragionamento deduttivo? Partendo dalla presenza dell'ergo ("dunque") nella formula cartesiana, già i suoi contemporanei accusarono il filosofo di aver adoperato un sillogismo in cui manca la premessa maggiore. 
Per esprimerlo in tutta la sua completezza, tale sillogismo dovrebbe avere la seguente forma:
  1. premessa maggiore: "tutto ciò che pensa esiste"
  2. premessa minore: "io penso"
  3. conclusione: "dunque, io esisto"
Il cogito non rappresenterebbe, dunque, la conoscenza prima e certissima su cui tutto il resto deve fondarsi, ma dipenderebbe da un'altra premessa (implicita) non sottoposta al dubbio né dimostrata ("tutto ciò che pensa esiste"). I contemporanei accusarono Cartesio, pertanto, di aver utilizzato quella logica aristotelica da cui voleva distaccarsi.
Il cogito

A questo punto Cartesio apre la "Seconda Meditazione" citando l'esempio di Archimede che, per sollevare il mondo, chiedeva un solo punto saldo e immobile d'appoggio su cui fare leva. Il filosofo  ha la medesima esigenza: ricerca un fondamento solido e sicuro per la conoscenza, dopo essersi spinto fino alla demolizione di ogni certezza. Il suo è un modo di procedere di tipo "genetico", perché si fonda sulla convinzione che, scoprendo una sola conoscenza certa e indubitabile, sarà possibile far derivare da essa altre conoscenze dotate dello stesso carattere e adoperare, quindi, soltanto queste idee come materiale da costruzione del nuovo edificio della scienza.

Io posso ammettere di dubitare tutto, di ingannarmi ed essere ingannato, ma di una sola cosa devo essere assolutamente certo, vale a dire del fatto che per ingannarmi (o essere ingannato) devo esistere: io penso, io esisto.
Pur avvolto nelle nebbie del dubbio radicale e universale, devo ritenere  di aver raggiunto almeno una verità certa e indiscutibile, una proposizione della cui certezza non posso più dubitare.
Io penso, dunque io esisto ( in latino cogito, ergo sum): ecco l'unica verità che il dubbio non può scalzare.
Dubbio metodico e dubbio iperbolico

La prima regola del metodo prescrive di accettare come vero soltanto ciò che si presenta evidente. Ma come fare in concreto? Occorre applicare il dubbio in modo rigoroso, assumerlo come procedimento metodologico per valutare se sussiste qualcosa che inevitabilmente si sottrae ad esso. Per questo il dubbio cartesiano viene definito "metodico"

Il filosofo nelle Meditazioni metafisiche mette in dubbio, a ondate successive, l'intera realtà, a partire da quella sensibile: ai sensi a volte ci ingannano. E' prudente, dunque, non dar loro completa fiducia. Per il filosofo, tuttavia, ci sono conoscenze che dobbiamo considerare vere sia da svegli sia in sogno. Tali conoscenze sono quelle semplici e chiare dell'aritmetica e della geometria, che ci dicono, ad esempio, che 3+2 = 5 e che il quadrato ha quattro lati.
In realtà, per quanto appaiono chiare ed evidenti, anche su queste verità è possibile esercitare il dubbio. Infatti, finché non abbiamo raggiunto un punto certo, possiamo supporre di essere stati creati non da un Dio buono e saggio, ma da un genio maligno che ci vuole ingannare, facendoci credere che 3+2 = 5 mentre in realtà non è così. 
La conclusione è che devo supporre che tutto ciò che vedo, sento, immagino e giudico sia falso e ingannevole: il dubbio ha raggiunto così la sua più vasta estensione possibile, è diventato universale, iperbolico.

domenica 23 dicembre 2018

Dal dubbio metodico all'intuizione del cogito


Cartesio ha una visione fondamentalmente e ottimistica dell' impresa filosofica. Egli ritiene infatti che la conquista del sapere non sia impossibile né difficile, a patto che si osservino alcune regole essenziali nella ricerca della verità, ossia che si adotti un adeguato metodo d'indagine. 

All'inizio del Discorso sul metodo l'autore sottolinea che il "buon senso", ovvero la capacità di discendere il vero dal falso e di accostarsi alla verità, è "la cosa meglio distribuita nel mondo" in quanto tutti gli uomini la possiedono. Ne segue che "la diversità delle nostre opinioni non deriva dal fatto che alcuni sono più ragionevoli degli altri, ma soltanto dal fatto che noi conduciamo i nostri pensieri per vie diverse e non prendiamo in considerazione le stesse cose. Infatti non basta esser dotati di una buona intelligenza: l'essenziale è applicarla bene"

Il problema del metodo

Fin dall'opera giovanile Regole per la guida dell'intelligenza, Cartesio osserva che l'aritmetica e la geometria, dispongono di un ottimo metodo, poiché sono discipline che vertono su un oggetto ben definito e chiaro e non ammettono nulla che non sia supportato da rigorose dimostrazioni. Si tratta quindi di prendere coscienza del procedimento matematico, di generalizzarlo in modo da renderlo disponibile anche per le altre discipline e, soprattutto, di dargli un solido fondamento.

Le quattro regole del metodo cartesiano

Riportiamo di seguito la formulazione completa delle quattro regole che secondo Cartesio deve seguire chi intende intraprendere la ricerca della verità.

  • La prima è la regola dell'evidenza, e prescrive di accogliere come vero soltanto ciò che è evidentemente tale. Secondo Cartesio la chiarezza e la distinzione sono i contrassegni della verità. Un'idea è chiara quando si afferma in modo vivido e immediato. Un'idea è distinta quando è separata da ogni altra e definita in se stessa.
  • La seconda è la regola dell'analisi, che prescrive di dividere ogni problema nelle sue parti elementari: risolte individualmente, esse rendono più facile la soluzione del problema stesso.
  • La terza è la regola della sintesi, che prescrive di procedere nella conoscenza passando dagli oggetti più semplici a quelli più complessi, attraverso gradi successivi. Tale regola presuppone l'idea che tutte le verità derivino le une dalle altre, secondo un ordine deduttivo-matematico, e siano legate reciprocamente tra loro.
  • La quarta è la regola dell'enumerazione, che prescrive di fare sempre enumerazioni complete e revisioni generali, così da essere sicuri di non omettere nulla. Essa invita a verificare attentamente che non venga dimenticato nessun elemento importante e che, durante la sintesi (terza regola), non venga trascurato nessun rapporto necessario di interdipendenza che collega una conoscenza all'altra.


venerdì 21 dicembre 2018

1. Cartesio e la ricerca del fondamento del sapere

"M'era d'uopo prendere a disfarmi di tutte le opinioni ricevute per cominciare tutto di nuovo dalle fondamenta, se volevo stabilire qualche cosa di fermo e di durevole nelle scienze." 

Cartesio, Meditazioni metafisiche


Cartesio è un pensatore della massima importanza, da molti considerato il "padre della filosofia moderna" per aver messo radicalmente in discussione il sapere tradizionale e aver spostato il fulcro della ricerca filosofica sul soggetto e sulla sua razionalità. Scoprire le reali possibilità della ragione umana: ecco il progetto cartesiano, il filosofo francese si interroga sui meccanismi di funzionamento della conoscenza umana.

Egli inizia il proprio percorso di ricerca accogliendo la sfida dello scetticismo e mettendo in dubbio l'intero sistema delle conoscenze.  La sua insoddisfazione nasce in particolare dall'assenza di un metodo sicuro e affidabile capace di confrontarsi con le conquiste della scienza e della matematica; queste ultime, a suo avviso, sono caratterizzate da assoluto rigore e coerenza. 

A differenza dello scetticismo, così diffuso nella sua epoca, il suo "dubbio" non è fine a se stesso, ma rappresenta un mezzo per sgombrare il terreno dalle opinione false accumulatesi nei secoli e raggiungere poche verità, chiare e distinte, su cui fondare il nuovo edificio del sapere.