Il cogito
A questo punto Cartesio apre la "Seconda Meditazione" citando l'esempio di Archimede che, per sollevare il mondo, chiedeva un solo punto saldo e immobile d'appoggio su cui fare leva. Il filosofo ha la medesima esigenza: ricerca un fondamento solido e sicuro per la conoscenza, dopo essersi spinto fino alla demolizione di ogni certezza. Il suo è un modo di procedere di tipo "genetico", perché si fonda sulla convinzione che, scoprendo una sola conoscenza certa e indubitabile, sarà possibile far derivare da essa altre conoscenze dotate dello stesso carattere e adoperare, quindi, soltanto queste idee come materiale da costruzione del nuovo edificio della scienza.
Io posso ammettere di dubitare tutto, di ingannarmi ed essere ingannato, ma di una sola cosa devo essere assolutamente certo, vale a dire del fatto che per ingannarmi (o essere ingannato) devo esistere: io penso, io esisto.
Pur avvolto nelle nebbie del dubbio radicale e universale, devo ritenere di aver raggiunto almeno una verità certa e indiscutibile, una proposizione della cui certezza non posso più dubitare.
Io penso, dunque io esisto ( in latino cogito, ergo sum): ecco l'unica verità che il dubbio non può scalzare.
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